Gli amministratori di Società per azioni. L’azione di responsabilità e la legittimazione del socio dissenziente
Dalla lettura della norma al caso concreto.
Il presente scritto si propone di svolgere un’analisi delle norme che il nostro ordinamento dedica alla responsabilità degli amministratori prendendo le mosse da un caso concreto che è stato affrontato nella normale attività di tutti i giorni. Le riflessioni che ci hanno impegnato si sono incentrate non solo nel comprendere i contorni esatti della normativa applicabile al caso di specie, bensì nel trovare la migliore soluzione possibile che permetta al socio, che partecipava ben due società dalle quali era estromesso, al fine di raggiungere un obiettivo meramente pratico, ma senza dubbio preminente: prevedere in quale modo l’eventuale azione di responsabilità mossa avverso gli amministratori da socio estromesso potesse precludere o diminuire la possibilità di ottenere il valore in denaro al tempo offerto per l’acquisizione delle quote del socio in parola. Infatti, in linea di principio giuridico, nessun dubbio poteva emergere in merito alla configurabilità, e correttezza, di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori delle due società.
Introduzione normativa
Prima di qualsiasi altra verifica, in merito al caso contrato, l’interprete non può e non deve dimenticare l’obiettivo principale ed i contorni che il diritto concesso al socio di promuovere azione di responsabilità avverso l’amministratore assume.
Siamo infatti di fronte ad una istanza che darebbe adito, in primis, Ciò in quanto l’azione di responsabilità postulerebbe: a) In primo luogo la consapevolezza che il risarcimento del danno eventualmente riconosciuto andrebbe a favore della società; b) che di conseguenza il risarcimento del danno a favore del socio potrà essere configurato nel solo caso in cui nel caso in cui il giudice attestasse che il danno subito da quest’ultimo è diretta conseguenza dell’operato degli amministratori; e, in ultimo c), la cessazione dell’organo esecutivo della società, con contestuale nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. di emanazione giudiziale e, nei fatti, conseguente stallo decisionale della società stessa per mancanza di detto organo.
Non sarebbe possibile per gli altri soci, infatti, in presenza del curatore, assumere la guida delle due compagini sociali e, pertanto, le società sarebbero limitate nelle proprie attività a quelle inerenti la mera ordinaria amministrazione. Dunque, nel caso considerato e, in genere, in tutte le posizioni che presentino simili caratteristiche – aziende di piccole dimensioni a conduzione principalmente familiare – è bene considerare che intraprendere l’azione di responsabilità con eccessiva disinvoltura potrebbe risultare una scelta fatale per le speranze del socio estromesso di ottenere, quanto meno, il valore delle proprie quote.
A ulteriore detrimento in merito alla decisione, probabilmente incauta, di intraprendere immediatamente detta azione di responsabilità senza tentare alcun tipo di mediazione, si ergeva nel caso affrontato uno specifico articolo presente in entrambi gli Statuti, che precisava con chiarezza “se viene meno la maggioranza degli amministratori si intende dimissionario l’intero organo e i soci provvederanno alla nomina del nuovo organo amministrativo”. Ciò non sarebbe stato possibile e, di conseguenza, la società avrebbe dovuto essere liquidata previa dichiarazione di scioglimento in quanto, nei fatti, impossibilità a svolgere qualsivoglia attività.
Una ulteriore soluzione era potenzialmente legata all’istituto del recesso del socio. Ma anche, proseguire per questa strada avrebbe leso l’interesse preminente del socio estromesso. D’altro canto, l’andamento delle due società negli ultimi esercizi, in sede di valutazione delle quote non rendeva possibile una valutazione delle quote che si avvicinasse a quella raggiunta in sede di trattativa privata.
Analisi storia del caso affrontato.
Le due società, nella sostanza, si sovrapponevano. Tale duplicazione era dovuta alla volontà dei due soci che gestivano gli affari di escludere da qualsiasi possibilità di guadagno il socio dissenziente. Nei fatti, anche i due statuti e i nomi delle due aziende erano pressoché identici. Varie, inoltre, risultarono essere le condotte illegittime poste in essere da detti soci che, per di più, ricoprivano anche ruoli di amministrazione. Dall’analisi dei verbali d’assemblea e del consiglio di amministrazione, per una serie di ragioni formali e che saranno considerate nella presente trattazione, immediatamente improprio risultò il conferimento delle deleghe riconosciute ai soci/amministratori.
Conseguenza ne sarebbe che i consiglieri in parola perderebbe ex tunc le proprie attribuzioni ed i poteri dipendenti alle deleghe e, pertanto, tale tesi ci porterebbe a considerare nulla l’attribuzione dei compensi che le assemblee di approvazione dei bilanci deliberano per i soli consiglieri delegati, con il primo intendo di domandare la ripetizione di quanto ricevuto a titolo di compenso. Ciò avverrebbe, in ogni caso, non a favore del socio escluso, ma a favore della società.
La prima ragione di censura era legata alla erroneità dell’organo che, anche ai sensi dello statuto societario, ha deliberato su tali deleghe. Non era infatti previsto che l’assegnazione di deleghe potesse essere demandata all’assemblea dei soci. Il divieto era espresso e, pertanto, le delibere apparvero nulle poiché errata erano sede (assemblea) e organo (assemblea dei soci) che le aveva rese.
Oltre a ciò, un eccesso di delega parve configurarsi in merito all’attribuzione dei compensi agli amministratori, che configurava un eccesso di potere evidente e che, pertanto, avrebbe dato il là alla conseguente impugnazione delle relative delibere. Tali compensi, inoltre, apparvero sproporzionati e, pertanto, era stato possibile evidenziare anche la violazione del dovere di buona fede e di correttezza, in quanto la delibera sembrò intesa esclusivamente al perseguimento di interessi personali di tali soci/amministratori, interessi estranei e divergenti rispetto agli interessi della società. Ciò anche in quanto, nel caso di cui si tratta, a fronte di un andamento negativo della società, l’attribuzione di compensi agli amministratori, ai quali era riconosciuto altresì un “gettone di presenza”, apparve non giustificato.
Anche in questi casi, tuttavia, fornire una prova convince del fatto dell’amministratore non è affatto semplice. Ammesso che la difesa sia in grado di delineare correttamente i profili di responsabilità da ascrivere all’operato degli amministratori, al giudice sarà affidato il difficile compito non di accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all’assemblea dei soci, la convenienza o l’opportunità della delibera per l’interesse della società, bensì di identificare, nell’ambito di un giudizio di carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta. Dunque, configurando, se possibile, un vizio di legittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell’amministratore. I criteri ai quali deve esser fatto riferimento, tuttavia, sono tutt’alto che univoci e riguardano, in primo luogo, la natura e l’ampiezza dei compiti dell’amministratore e, in secondo luogo, il compenso correntemente applicato nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di analoghe dimensioni. Di modo che, in alcuni casi, la situazione patrimoniale e all’andamento economico della società potrebbero passare in secondo piano. (Cassazione 17-7-2007 n. 15942 sez. I).
Quali sono, dunque, i contorni della responsabilità degli amministratori?
Essi devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
L’art. 2476 provvede a delineare i confini della responsabilità degli amministratori ed i poteri di controllo riconosciuti ai soci – “[1] Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso. – [2] I soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. – [3] L’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione“.
In altre parole, la responsabilità verso la società degli amministratori, 2476 c.c., trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti ai predetti dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto obbligo generale di intervento preventivo e successivo (sì che il relativo thema probandum si articola nell’accertamento dei tre elementi dell’inadempimento di uno o più degli obblighi suindicati, del danno subito dalla società, del nesso causale). Il “danno risarcibile” sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante (commisurato, cioè, in concreto, al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, commissivo od omissivo, non fosse stato posto in essere dall’amministratore).
La responsabilità presuppone dunque l’esistenza di un rapporto organico di amministrazione con la società, in forza del quale colui che opera come amministratore è inserito nell’organizzazione sociale, in modo che la sua attività sia direttamente riferibile alla persona giuridica. Tale inserimento può aversi solo mediante un atto esplicito o implicito di preposizione del competente organo societario, che tenga luogo della formale delibera di nomina. Sicché, la possibilità di applicare la disciplina della responsabilità di amministratore non legalmente nominato risulta circoscritta ai casi di nomina irregolare o implicita.
L’art. 2476 è norma sostanzialmente nuova. Ricalcando quanto previsto in tema di società per azioni dall’art. 2392, il primo comma scolpisce nei confronti degli amministratori una responsabilità solidale per i danni che la società subisce a seguito della non osservanza dei doveri loro imposti nel gestire l’ente; è fatta salva l’eventualità che essi siano esenti da colpa o dissenzienti. Alla loro responsabilità si aggiunge quella solidale dei soci che volontariamente abbiano deciso o autorizzato il compimento degli atti dannosi per la società, i soci, i creditori ed i terzi in genere (art. 2476, settimo comma). Si apre dunque un consistente spiraglio per l’ammissibilità della responsabilità nei confronti dei cosiddetti gestori di fatto delle società di capitali, in ossequio al non codificato e a volte contestato principio generale, o comunque esigenza, in tema di società che colui che gestisce effettivamente l’impresa non possa cumulare anche i vantaggi della integrale limitazione di responsabilità, come disposto per le società di persone e gli accomandatari delle società in accomandita per azioni.
È inoltre previsto il controllo individuale dei soci non amministratori sulla gestione degli amministratori, per mezzo della verifica che essi possono effettuare analizzando i libri sociali e ora anche i documenti relativi all’amministrazione (art. 2476, secondo comma; si confronti anche l’art. 2625). Non è peraltro ribadito il presupposto della mancanza di un collegio sindacale, il che fa pensare che i soci abbiano tali poteri anche ove sussistano gli organi di controllo. Mentre invece in maniera opportuna si è specificato che le verifiche possano essere effettuate anche tramite professionisti di fiducia.
I successivi capoversi regolano l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Essa viene ora disciplinata in maniera del tutto autonoma rispetto a quanto disposto in tema di società per azioni dove, se da un lato gli artt. 2393 e ss. consentono un arco di azioni più ampio e variegato, dall’altro pongono limiti ben più restrittivi alla legittimazione attiva dei soci. In materia di società a responsabilità limitata la legittimazione all’azione si ricollega teleologicamente al controllo del socio ed alla sua connotazione individuale. Ferma restando la possibilità che i soci, i creditori ed i terzi possano esperire le ordinarie azioni individuali a tutela dei propri diritti (art. 2476, sesto comma; per le società per azioni si veda l’art. 2395), l’azione di responsabilità può essere promossa solo dai soci, anzi anche da ciascun singolo socio. Non sono quindi riportati, anche per il carattere più intimo delle società a responsabilità limitata, i quorum disposti dagli art. 2393 e 2393 bis nelle società per azioni
A differenza della società per azioni la legge non parla mai veramente di un’azione “sociale” di responsabilità, sia essa concorrente o meno a quelle individuali: non si prevede infatti la presenza una decisione che deliberi espressamente sulle mancanze dei gestori, mentre si potranno avere anche più azioni di responsabilità parallele, in quanto promosse da soci diversi. Il che ha posto degli interrogativi su se essa possa esercitarsi sulla base di previsioni e modalità riportate nell’atto costitutivo.
L’art. 2476, al terzo comma, non disciplina, infatti, un vero e proprio controllo giudiziario, ma i soci, in caso di gravi irregolarità, possono chiedere al giudice l’adozione di un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori (per le società per azioni, in maniera differenziata, si vedano gli artt. 2408 e 2409): si applicano gli artt. 23 ss. del d.lgs. 5 del 2003, da coordinarsi con gli artt. 669 bis e ss. del c.p.c. Ci si chiede se, al di là della formulazione non univoca dell’art. 2476, terzo comma, si possa richiedere tale provvedimento cautelare al di fuori della preventiva promozione dell’azione di responsabilità, per il principio innovativo contenuto all’art. 23, comma primo, del d.lgs. 5 del 2003.
Lo stato di decozione che le due società stavano affrontando parve essere tale da configurare, nei confronti degli amministratori, censure anche in merito alla decisione di proseguire nella conduzione delle imprese, che sembrò illecita – cioè non conservativa e con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale – in quanto la continuazione dell’attività economica della società aveva portato alla perdita del capitale sociale in violazione del disposto dell’art. 2486 c.c., Anche in questo caso tutto pare ruotare attorno all’onere della prova che incombe sull’attore.
Di grande conforto sarebbe stato aver potuto usufruire dell’esempio reso nel recentissimo 27 ottobre 2015 dal Tribunale di Milano, che, chiamato a decidere su un caso di simile malagestio, ebbe occasione di precisare: “è onere dell’attore: a) allegare in modo qualificato – cioè sufficientemente preciso e determinato – il momento in cui il capitale sociale sarebbe sceso per perdite sotto il minimo legale o sarebbe divenuto negativo; b) dimostrare che l’attività di gestione della società è proseguita, in violazione degli artt. 2447 e 2486 c.c., senza l’adozione di misure volte alla conservazione del valore del patrimonio sociale e della sua integrità ed invece con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale; c) provare che tale prosecuzione illegittima dell’attività sociale ha causato un danno alla società o ai creditori; d) provare l’entità del danno. Grava invece sui convenuti l’onere di provare l’inesistenza (della prova del) danno e del nesso di causalità, ovvero la non imputabilità a sé della prosecuzione illegittima dell’attività d’impresa.
Il ricorso alla quantificazione del danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. è consentito solo ove ricorrano circostanze che non hanno permesso l’accertamento degli effetti dannosi delle condotte contestate (come ad esempio la mancata tenuta o conservazione delle scritture contabili o la loro tenuta connotata da irregolarità così gravi da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari), purché l’attore alleghi criteri di quantificazione precisi e “plausibili”, cioè capaci di produrre un risultato che rappresenti in modo comunque attendibile gli effetti patrimoniali dannosi del comportamento illecito addebitato agli organi sociali.
Ai fini della quantificazione del danno patrimoniale causato dall’illecita prosecuzione dell’attività economica ex art. 2486 c.c., non è imputabile agli organi sociali lo sbilancio antecedente la perdita del capitale sociale, perché effetto di attività economica svolta lecitamente, ivi inclusa la perdita del patrimonio netto che si sarebbe comunque registrata se la società fosse stata tempestivamente posta in liquidazione, visti i differenti principi contabili che trovano applicazione in tale sede. Ne deriva che, ove tale quantificazione non sia possibile neppure in via equitativa, il metodo di quantificazione del danno incentrato sulla differenza dei patrimoni netti è inutilizzabile. La quantificazione del danno secondo il criterio della differenza dei netti patrimoniali presuppone che la quantificazione del patrimonio netto alla data della perdita del capitale ed alla data della tardiva messa in liquidazione (o della dichiarazione di fallimento) sia effettuata secondo criteri contabili omogenei, in particolare, secondo quelli propri della liquidazione.
La mancanza o l’inidoneità rappresentativa dei documenti contabili può costituire deduzione rilevante ai fini della prova del danno oppure costituire essa stessa addebito mosso agli organi sociali. Nel primo caso, tale comportamento negligente non esime l’attore dall’allegare in modo “qualificato” sia il comportamento illegittimo addebitato agli organi sociali sia il danno conseguitone, che tutt’al più potrà essere liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c. ove ricorrano circostanze che ne impediscano un accertamento puntuale e solo ove i criteri utilizzati appaiano comunque plausibili. Nel secondo caso, invece, l’assenza o l’inidoneità rappresentativa delle scritture contabili non può costituire una condotta di per sé fonte di danno, che neppure in astratto può essere fatto coincidere con lo sbilancio attivo-passivo fallimentare”.
Recesso e liquidazione quota del socio
Il recesso del socio è un istituto che è stato oggetto di un corposo intervento di innovazione anche se pochi sono i casi che ne hanno visto la effettiva attuazione e che, pertanto, sono giunti di fronte al giudice di legittimità. Ciò è dovuto in parte alla tradizionale tendenza della prassi a cercare soluzioni diverse e, in parte, alla generica formulazione che è stata data alla norma di riferimento, l’art. 2473 c.c.
Nel caso affrontato, lo Statuto delle due società non ha inteso accogliere le nuove possibilità delle nuove norme post riforma di diritto societario, ovvero l’opportunità di stabilire ipotesi di recesso immediato del socio dissenziente, per tanto è applicabile l’articolo del codice civile il cui testo non lascia spazio ad interpretazioni estensive. Per cui, la decisione di trarre profitto da tale istituto fu giocoforza negativa.
Infatti, per poter utilizzare con successo l’istituto del recesso, unica possibilità sarebbe stata quella di far appello al comportamento degli amministratori, volontario e mirato all’esclusione di fatto del terzo socio dalla conduzione della società e dal godimento dei frutti conseguenti. Per cui una prova di natura anche soggettiva, di non semplice configurazione.
Art. 2473/1. Recesso del socio “L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all’estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468, quarto comma. Restano salve le disposizioni in materia di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento”.