Il “temporary manager”: un approccio alla risoluzione delle problematiche Aziendali

Temporary Management

 

Negli ultimi decenni si è sviluppata in Italia ed in Europa la professione di Temporary Management: attività volta ad affrontare e a risolvere problemi aziendali complessi, urgenti e difficili svolta da società specializzate che mettono a disposizione delle aziende, per un periodo definitivo, un team di manager professionisti.

Angelo Vergani, in un suo recente articolo, ha definito in maniera estremamente pragmatica questo professionista: “si tratta di una figura ben precisa, non di un manager che per necessita, lavorando a tempo, a contratto, a progetto, viene definito temporary manager. Se così fosse oggi, con i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nelle imprese, tutti i manager sarebbero temporary, dato che praticamente sono tutti a tempo determinato, anche se sono inquadrati con contratti a tempo indeterminato”.

In altre parole: I manager assunti normalmente sono già tutti a tempo. Al giorno d’oggi infatti le figure manageriali in azienda hanno un turn-over molto alto o perché si spostano di nazione o continente o cambiano lavoro o vengono allontanati o si allontanano dalle aziende. Si tratta di un profilo professionale altamente qualificato che collabora all’interno dell’organizzazione aziendale per un periodo di tempo determinato dal progetto o dall’obiettivo da raggiungere: al temporary manager vengono perciò conferite responsabilità manageriali, adeguati poteri organizzativi e decisionali, ma esclusivamente per il tempo necessario a definire o portare a termine un progetto o un’attività.

Ma perché un’azienda dovrebbe decidere di dotarsi di un Temporary Manager anziché di un quadro o di un dirigente? I vantaggi principali di questo approccio vanno individuati nella flessibilità garantita dal rapporto di collaborazione, quando si vuole intervenire su una funzione aziendale che una volta

risollevata andrà sotto la responsabilità indiretta di un altro manager già presente in azienda, o nei casi in cui si voglia sperimentare la possibilità di internalizzare una nuova funzione in azienda senza per questo vincolarsi con l’assunzione di un manager ad hoc. In un mondo in cui le aziende richiedono una maggior flessibilità del lavoro e i professionisti si rendono conto che il contratto a tempo indeterminato ha assunto caratteristiche di maggior “temporaneità”, il Temporary Management può quindi rappresentare una soluzione reciprocamente vantaggiosa.

L’impresa che adotta questa soluzione sa esattamente quanto deve spendere e i tempi d’implementazione del progetto. Alla fine il Temporary Manager (TM) esce dall’azienda senza alcun costo imprevisto per la gestione.

Quando conviene Utilizzare il Temporary Manager

Per una PMI la figura del Temporary Manager può essere la soluzione per avviare un progetto che richiede competenze specifiche, senza dover assumere definitivamente personale “di ruolo”; il temporary manager assumerà l’incarico e verrà temporaneamente integrato in azienda con un contratto a termine dai confini ben delineati, quanto a responsabilità, monte ore lavoro, utilizzo delle attrezzature aziendali, ecc.

Quest’ultimo dettaglio è importante perché di solito il consulente è una persona che gode di una propria organizzazione imprenditoriale, con mezzi propri, contabilità personale ecc., ma soprattutto con una capacità decisionale estranea all’impresa. Il Temporary Manager può oggi configurarsi come un’azienda, ma dovrà rendere conto alla committente nei limiti del contratto di temporary management

La letteratura classifica normalmente gli interventi di TM nelle seguenti macrocategorie:

  • management transitorio, in cui l’intervento è richiesto per la copertura di improvvisi e non previsti vuoti manageriali;
  • gestione di progetti specifici;
  • gestione di crisi aziendali vere e proprie;
  • management delle competenze, ovvero necessità di introdurre in azienda, in tempi brevi e con la massima efficacia, nuovi strumenti e nuove modalità di lavoro;
  • gestione del cambiamento.

Più nello specifico, un intervento di TM può essere utile nelle seguenti situazioni:

  • gestire situazioni di turnaround legati a crisi tendenzialmente reversibili;
  • rimettere in sesto un’azienda o una sua parte prima di procedere alla sua vendita;
  • pilotare e gestire un complesso processo di cambiamento, che interessi cultura, strategia e struttura aziendale;
  • avviare nuove attività, specie se all’estero (delocalizzazioni);
  • gestire l’integrazione di aziende/business di recente acquisizione;
  • attuare il coaching di un manager permanente;
  • gestire la transizione in attesa dell’ingresso di un manager permanente;
  • gestire con successo il passaggio generazionale;
  • gestire un progetto mirato, ad esempio la gestione di attività di outsourcing o l’implementazione di un sistema ERP.

Come si deve sviluppare l’intervento di un Temporary Management

Esempi sono nei settori:

  • chimico
  • agroalimentare
  • siderurgico
  • auto
  • componentistica
  • macchinari
  • abbigliamento
  • grande distribuzione

Questi sono solo esempi, i campi applicativi sono molti di più.

Un modello di intervento di TM può essere configurato nel seguente modo:

  1. Analisi e diagnosi del problema (check-up).
  2. Stesura del piano operativo, discussione ed accettazione (da parte proprietà).
  3. Assunzione da parte del T-Manager delle responsabilità gestionali.

Il T-Manager può avere la responsabilità totale della gestione o può affiancare l’imprenditore nello svolgimento dell’attività di direzione. In ogni caso, lavora sempre in piena integrazione col management aziendale.

Nei numeri seguenti della nostra Newsletter daremo più informazioni sul TM.

Il Vice-presidente di Internazionalizza, Stefano Foglia, nella cena di Gala dell’Ambasciata Italiana – Tirana, insieme al Sottosegretario Ivan Scalfarotto ed al Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.

Web tax – Novità inserite nella Legge di Bilancio 2018

La Legge di Bilancio 2018 introduce la c.d. Web tax, l’imposta sulle transazioni digitali, relative a prestazioni di servizi (che saranno individuate da un decreto da emanare entro il 30.04.2018) effettuate tramite mezzi elettronici rese nei confronti di soggetti residenti nel territorio dello Stato, esclusi:

 -coloro che hanno aderito al regime forfetario (di cui all’art. 1 commi 54-89 della L. 190/2014);

-coloro che hanno aderito al regime dell’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (di cui all’art. 27 del D.l. 98/2011);

-le stabili organizzazioni di soggetti non residenti situate nel medesimo territorio.

Si considerano prestazioni di servizi effettuate tramite mezzi elettronici quelli forniti attraverso internet o una rete elettronica, la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata di un intervento umano minimo e impossibile da garantire in assenza della tecnologia dell’informazione.

L’imposta è del 3% ed è applicata sul valore della singola transazione, ossia dal corrispettivo dovuto per la prestazione al netto dell’Iva, indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione.

L’imposta si applica nei confronti del prestatore (residente o non residente) che effettua nel corso dell’anno solare un numero complessivo di transazioni superiore a 3.000 unità.

L’imposta viene prelevata all’atto del pagamento del corrispettivo dai soggetti committenti dei servizi, con obbligo di rivalsa sui prestatori (salvo che questi ultimi indichino nella fattura di non superare le 3.000 unità), e la riversano entro il giorno 16 del mese successivo a quello di pagamento del corrispettivo.

Un successivo decreto stabilirà le modalità applicative dell’imposta, gli obblighi dichiarativi e di versamento, e i casi di esonero.

Per quanto riguarda l’accertamento, le sanzioni, la riscossione e il contenzioso relativi alla web tax, si applicano in quanto compatibili le disposizioni previste per l’Iva.

Le disposizioni sulla Web tax si applicheranno dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto che stabilirà le prestazioni di servizi (previsto, come indicato prima, per il 30.04.2018).

Rag. Feliziani

Info: feliziani@internazionalizza.com

I chiarimenti del MISE sul Credito d’imposta R&S per gli sviluppatori di software

Considerate le molteplice richieste di chiarimenti, il Mise, con la circolare 59990/2018 dello scorso 9 febbraio, fornisce nuovi chiarimenti sul credito d’imposta “ricerca e sviluppo”, precisando in particolare, i criteri di individuazione delle “attività ammissibili” all’incentivo (articolo 3, commi 4 e 5, Dl 145/2013 e articolo 2, Dm 27 maggio 2015), con particolare riferimento a quelle svolte dalle imprese che si occupano di sviluppo di software.

In via preliminare, ai fini del riconoscimento del bonus, il ministero ricorda lo stretto collegamento tra la disciplina interna relativa alle “attività ammissibili” e quella europea relativa alle definizioni di “ricerca fondamentale”, “ricerca applicata” e “sviluppo sperimentale” (comunicazione della Commissione 2014/Ce 198/01 del 27 giugno 2014, “Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione”), come mutuate dai principi del “Manuale di Frascati” dell’Ocse, che, quindi, rappresenta la base interpretativa di riferimento anche del credito d’imposta previsto dal legislatore italiano.

In base al “Manuale di Frascati”, dunque, le attività di sviluppo di un software, per avere un effettivo contenuto di R&S, devono essere, generalmente, di tipo incrementale, nell’ambito delle attività di sviluppo sperimentale. Inoltre, l’esecuzione dello sviluppo di un software “deve dipendere da un progresso scientifico e/o tecnologico e lo scopo del progetto deve essere la risoluzione di un problema scientifico o tecnologico su base sistematica”.

In sintesi, non può essere classificato R&S il progetto che si limita tout court ad arricchire o potenziare un programma o un sistema già esistente; tale riconoscimento, infatti, si può avere soltanto in presenza di un progresso scientifico o tecnologico, che si traduce concretamente nell’incremento della conoscenza. Il Mise specifica, in particolare, che l’utilizzo del software per una nuova applicazione o per un nuovo scopo non costituisce automaticamente un incremento scientifico o tecnologico.

Per maggior chiarezza, la circolare riporta anche alcuni degli esempi del “Manuale di Frascati”, che circoscrivono le caratteristiche delle attività di R&S in materia di software, mettendole a confronto con quelle di semplice routine od ordinarie e, quindi, non “meritevoli” di agevolazione.

Ad esempio, aprono la strada al credito d’imposta:

  • lo sviluppo di un nuovo sistema operativo o di un nuovo linguaggio di programmazione
  • la progettazione e la realizzazione di nuovi motori di ricerca basati su tecnologie originali
  • gli sforzi per risolvere i conflitti con hardwaresoftware in base a un processo di reingegnerizzazione di un sistema o di una rete
  • la creazione di nuovi o più efficienti algoritmi basati su nuove tecniche
  • la realizzazione di nuovi e originali tecniche di criptazione o di sicurezza.

Viceversa, il bonus non può essere riconosciuto per le attività ritenute di tipo ricorrente o di routine come, ad esempio, gli aggiornamenti delle applicazioni informatiche, l’ordinaria manutenzione di computer, la creazione di siti web o software con strumenti esistenti, l’utilizzo di metodi standard di criptazione.

Pertanto, coerentemente con la le finalità della normativa interna sul credito d’imposta R&S, l’agevolazione spetta per prodotti nuovi o sostanzialmente migliorati e non semplicemente modificati.

La circolare ricorda, infatti, che il credito d’imposta “non ricomprende automaticamente tutte le attività legate in senso ampio al processo innovativo di un’impresa, ma soltanto le attività, sia svolte direttamente all’interno dell’impresa, sia commissionate a terzi, ricollegabili a progetti che presentino effettivi contenuti di ricerca e sviluppo e che quindi presentino, quale che sia il settore di appartenenza e il prodotto o processo oggetto d’innovazione, un apprezzabile o significativo elemento di novità per il mercato, la cui realizzazione non derivi dalla semplice utilizzazione dello stato delle conoscenze e delle tecnologie già disponibili”.

Occhio alla tempistica

Oltre ai requisiti sopra descritti, per la corretta applicazione dell’agevolazione, occorre considerare anche la tempistica per lo svolgimento o la conclusione del progetto visto che il beneficio non può riguardare le attività dell’impresa successive a quelle pre-competitive.

Al riguardo, il ministero, per quanto concerne il settore software, ritiene che tale momento possa coincidere con il beta testing ovvero con la fase in cui la versione ancora non definitiva del programma informatico viene messa a disposizione di un determinato numero di utenti per il collaudo prima dell’immissione in commercio.

 

La circolare ricorda, infine, che essendo l’incentivo automatico, riconosciuto, cioè, a prescindere da una preventiva valutazione dei progetti finanziati, l’impresa interessata, oltre alla documentazione obbligatoria, dovrà munirsi degli strumenti e delle certificazioni utili a dimostrare che gli interventi, per i quali è stato richiesto il bonus, presentano caratteri innovativi o migliorativi (a tal proposito, il documento di prassi del Mise rimanda alla circolare 13/2017, paragrafo 4.9.4, dell’Agenzia delle entrate.

Dott. Stefano Foglia

Per informazioni: foglia@internazionalizza.com

Progetto “Quattro erre” e le opportunità per le imprese in Albania

Dopo la prima  positiva esperienza nel 2016, che ha coinvolto undici imprese locali, riparte il progetto Quattro Erre destinato alle aziende emiliano romagnole interessate a intraprendere percorsi di internazionalizzazione in Albania o Bosnia-Erzegovina.

Si terrà giovedì 8 febbraio alle ore 16:00 a Ravenna la presentazione del progetto della Fondazione Flaminia in collaborazione con la Camera di Commercio di Ravenna, Eurosportello e la società Italian Network, cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna, che si rivolge alle piccole e medie imprese che operano nei settori del Restauro, Recupero, Riuso e Risparmio energetico.

L’obiettivo di Quattro Erre è facilitare la creazione di nuove opportunità di crescita delle imprese partecipanti offrendo un percorso strutturato, chiaro e personalizzato. Il progetto prevede un affiancamento costante, durante tutte le fasi del percorso, per definire in modo strategico opportunità di penetrazione del mercato estero.

Il programma è rivolto alle aziende interessate a intraprendere percorsi di internazionalizzazione in Albania, con un know-how in linea alle richieste del mercato scelto e con una struttura interna capace di seguire gli aspetti legati alla penetrazione in un mercato estero. Durante i lavori sarà presentato anche il progetto per “Lo sviluppo urbano e turistico integrato” che rappresenta un importante passo in avanti a beneficio dei cittadini albanesi, unendo l’attenzione alla realtà urbana del paese con sforzi per aumentare il contributo del settore turistico nell’economia albanese.

Il progetto concentrerà le sue attività nelle città di Berat, Gjirokaster, Permet e Saranda, ma alcune delle attività si svolgeranno in altre destinazioni turistiche dell’Albania meridionale. Tra le priorità del progetto, che potrebbero interessare le imprese italiane, vi sono il miglioramento delle strade pedonali nel centro della città di Saranda, la riabilitazione di due strade d’accesso al Castello di Berat e la riabilitazione e illuminazione del centro storico di Gjirokastra.

Grazie alla collaborazione di Italian Network, durante i lavori, sarà presente anche l’Ambasciatore della Repubblica di Albania in Italia S.E. Anila Bitri che durante la mattinata incontrerà i rappresentanti della Regione Emilia Romagna e del Comune di Ravenna e nel pomeriggio, presso la sede della Fondazione Flaminia a Ravenna, terrà un seminario con gli imprenditori, in cui illustrerà insieme a Roberto Laera, amministratore di Italian Network, le opportunità di investimento e internazionalizzazione offerte dal paese delle aquile.

Quello instaurato tra la società Italian Network e l’Ambasciata albanese è anno intenso di iniziative che vedrà la realizzazione di numerosi eventi di promozione dell’Albania, anche attraverso la presentazione del volume “L’internazionalizzazione dell’impresa. Le caratteristiche degli investimenti in Albania”, scritto da Roberto Laera, Filippo Tresca e Arjeta Veshi, che sarà presentato a Bari, Napoli, Roma e Milano.. L’Albania è uno dei paesi del continente europeo in crescita. Il Governo sta continuando a perseguire una sempre maggiore integrazione nella comunità euro-atlantica.

Nel giugno 2006, l’Albania ha firmato l’accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione Europea che ha rappresentato il primo passo verso l’adesione alla UE. Il Governo albanese ha inoltre stipulato accordi di libero scambio per il libero accesso dei prodotti albanesi nei principali mercati dell’Unione europea, ed ha altresì aperto il paese alle importazioni.

Nel 2016 l’Italia è risultata detenere il 36,77% di share dell’interscambio commerciale complessivo dell’Albania, in lieve aumento rispetto al dato 2015 (36,64%). L’interscambio tra Italia ed Albania nel 2016 è ammontato a circa 2,2 miliardi di euro. L’Italia è nettamente il primo partener commerciale economico e politico dell’Albania, con il 54,57% di quota del volume delle esportazioni, in aumento rispetto al 2015 (50,87%); è anche il primo fornitore dell’Albania, con il 29,28% di share del volume delle importazioni, in lieve diminuzione rispetto al dato 2015 (30,29%).

Nei primi 5 mesi del 2017, il dato dell’interscambio tra Italia ed Albania ha fatto segnare un significativo +7,1% rispetto all’analogo dato del 2016, che conferma il trend in continua ascesa di questo indicatore. Incentivare la conoscenza e le opportunità dei Balcani e dell’Albania per gli imprenditori italiani interessati ad allargare il proprio bacino di business è la priorità del progetto “Quattro Erre”.

 

Fonte: Corriere Nazionale http://www.corrierenazionale.net/2018/01/30/progetto-quattro-erre-e-le-opportunita-per-le-imprese-in-albania/

NOVITA’ IN MERITO ALLA NOZIONE DI STABILE ORGANIZZAZIONE – Legge di Bilancio 2018

Viene ridisciplinata la nozione di stabile organizzazione (S.O.) di cui all’art. 162 del TUIR.

Nuova ipotesi di S.O. nel settore digitale

Al co. 2 dell’art. 162 del TUIR viene inserita la lett. f-bis), al fine di ricomprendere tra le fattispecie suscettibili di configurare S.O. “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso”.

Contestualmente, è abrogato il co. 5 dell’art. 162 del TUIR, il quale escludeva la configurabilità di una S.O. nel caso di disponibilità a qualsiasi titolo di “elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi”.

L’intervento normativo è volto a superare il concetto di S.O. basato sul radicamento territoriale inteso in senso tradizionale (materiale o personale) e dare, invece, rilievo al luogo in cui si svolgono le attività e si produce la ricchezza (sostanza economica).

Attività aventi carattere preparatorio o ausiliario

La sussistenza di una S.O. è esclusa a condizione che le attività “singole” elencate nelle lettere da a) ad e) di cui al co. 4 (come riformulate), o l’attività complessiva risultante dalla combinazione di tali attività, siano di carattere preparatorio o ausiliario (art. 162 co. 4-bis del TUIR).

Anti-fragmentation rule

Viene introdotta la c.d. “anti-fragmentation rule”, quale norma volta ad evitare che l’attività sia frazionata tra più imprese collegate, al solo fine di non incorrere in una delle ipotesi che, considerando l’attività in modo unitario, configurerebbero una S.O. (art. 162 co. 5 del TUIR).

Agente dipendente

Configura una S.O. un soggetto che (art. 162 co. 6 del TUIR):

  • agisce nel territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente;
  • abitualmente conclude contratti, o opera ai fini della conclusione di contratti senza modifiche sostanziali da parte dell’impresa.

 

Inoltre, ai fini della qualifica di “agente dipendente” idoneo a configurare S.O., deve trattarsi di contratti:

  • conclusi in nome dell’impresa;
  • oppure relativi al trasferimento della proprietà, o alla concessione del diritto di utilizzo, di beni dell’impresa o che l’impresa ha il diritto di utilizzare;
  • oppure relativi alla fornitura di servizi da parte dell’impresa.

 

L’agente dipendente non configura S.O. se l’attività svolta è limitata allo svolgimento delle attività elencate nella c.d. “negative list” di cui al co. 4 e aventi carattere preparatorio o ausiliario.

Agente indipendente

È agente indipendente, quale ipotesi idonea ad escludere la sussistenza di una S.O., un soggetto che (art. 162 co. 7 del TUIR):

  • svolge la propria attività in qualità di agente indipendente e
  • agisce per l’impresa nell’ambito della propria attività ordinaria.

Non è agente indipendente il soggetto che opera esclusivamente o quasi esclusivamente per conto di una o più imprese alle quali è “strettamente correlato”

DESCRIZIONE

(secondo la definizione recata dall’art. 162 co. 7-bis del TUIR). Quindi, l’agente monomandatario controllato dall’impresa estera si presume una sua S.O.

Decorrenza

In mancanza di una specifica norma di decorrenza, le suddette modifiche dovrebbero applicarsi, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, dal 2018.

Marketing e consenso. No al social spam

Le società che inviano proposte commerciali tramite mail devono acquisire preventivamente il consenso dei destinatari, anche se un indirizzo email è pubblicato su un social network. Recentemente, il Garante Privacy ha vietato a una società di continuare a trattare gli indirizzi email senza consenso per attività di marketing. Il consenso ai sensi dell’art. 23 del D.lgs. 196/2003 (“Codice Privacy”) deve essere prestato liberamente.

Il Garante è intervenuto ha seguito di una segnalazione di una società di consulenza finanziaria la quale rappresentava l’invio di diverse email promozionali indirizzate alle caselle di posta elettronica di alcuni suoi promotori senza che questi ne avessero mai autorizzato la ricezione al trattamento in questione.

L’Autorità ha concluso degli accertamenti in collaborazione con il Nucleo Speciale Privacy della Guardia di Finanza ed, a seguito degli stessi, è emerso che la raccolta degli indirizzi email avveniva tramite i social network come Linkedin e Facebook. La riferita società ha inviato circa 100.000 email negli ultimi due anni.

Il Garante ha ritenuto illecito il trattamento degli indirizzi email, anche tenendo conto delle Linee guida del 4 luglio 2013 che disciplinano il fenomeno del “social spam”. II c.d. “social spam” consiste in un insieme di attività mediante le quali lo spammer veicola messaggi e link attraverso le reti sociali online. Ciò si inquadra nel problema dell’indiscriminato e spesso inconsapevole impiego dei propri dati personali da parte degli utenti nell’ambito dei social network, tanto più rispetto a profili di tipo “aperto”. Questo impiego si presta alla commercializzazione o ad altri trattamenti dei dati personali a fini di profilazione e marketing da parte di società terze che siano partner commerciali delle società che gestiscono tali siti oppure che approfittino della disponibilità di fatto di tali dati in Internet. Inoltre, essendo i social network reti sociali tra persone reali, lo spam in questo caso può mirare a catturare l’elenco dei contatti dell’utente mirato per aumentare la portata virale del messaggio.

L’Autorità ha precisato nuovamente che i dati reperiti tramite i social network, o comunque dalla rete internet, non possono essere utilizzati liberamente. Nel corso del procedimento, la società in sua difesa sosteneva che l’iscrizione a un social network implica un consenso all’utilizzo dei dati personali per attività di marketing. Tuttavia, tale attività, come precisato anche dai garanti europei, non è compatibile con le funzioni dei social network che hanno come scopo principale la condivisione di informazioni e lo sviluppo di contatti professionali. I diversi garanti europei hanno espressamente escluso che l’iscrizione ad un social network presente sul web comporti il consenso al trattamento dei dati da parte di altri utenti ai fini di invio di informazioni promozionali.

Il Nucleo Speciale privacy ha contestato con una sanzione amministrativa il trattamento senza il corrispondente consenso, ma l’Autorità Garante si è riservata di contestare alla società la violazione del obbligo di rilascio dell’informativa – documento fondamentale che devono fornire tutte le aziende quando trattano dati personali ai sensi dell’art. 13 Codice Privacy. Infine, alla società è stato prescritto di modificare ed adeguare alla normativa vigente ed al Nuovo Regolamento Europeo il modello di richiesta di consenso presente sul Sito internet, in maniera di rendere chiara la finalità di marketing.

Le garanzie accessorie all’adempimento nel diritto internazionale: escrow agreement

Di origine anglosassone, si tratta di un contratto con il quale due parti concordano di consegnare un bene oggetto di un precedente contratto ad un soggetto, terzo e neutrale, che prende il nome di escrow agent (ad esempio, avvocati, commercialisti, notai), il quale sarà tenuto a custodire e restituire detto bene ad una delle parti al verificarsi di determinati eventi come descritti nel contratto medesimo.

Per lo più, tale accordo negoziale trova utilizzo nei casi in cui ci sia una separazione temporale tra i momenti previsti di esecuzione della prestazione in contratti a prestazioni corrispettive.

 

Tipico è l’esempio dei beni di lusso o ancora nel caso di vendite immobiliari, quando le parti depositano il prezzo presso un escrow agent volendo l’acquirente posticipare il pagamento del denaro al momento dell’effettiva immissione nel possesso del bene o dell’immobile.

L’escrow agent può essere ancora “impiegato” nel caso di cessione di partecipazioni sociali poiché spesso lo scambio tra azioni e prezzo avviene in un momento successivo (closing) a quello in cui il prezzo è stato pattuito (signing) e il rischio di eventuali fluttuazioni dei valori azionari sono in tal modo uniformate.

 

Si tratta dunque di una garanzia legata all’obbligazione principale in quanto, con la sottoscrizione del contratto, il debitore nella sostanza costituisce una garanzia accessoria a tutela de credito principale.

Il debitore infatti costituisce a mezzo del contratto di escrow una garanzia accessoria a tutela del credito principale avente ad oggetto la medesima prestazione dell’obbligazione principale e

con il quale le parti intendono garantire privatamente sia l’adempimento delle prestazioni previste, sia il sinallagma in caso di mutamenti delle circostanze o sopravvenienze.

Nella sostanza, con il contratto di escrow il debitore si impegna a dare esecuzione alla propria obbligazione nelle mani di un soggetto diverso rispetto a quello che è parte effettiva del rapporto, perché il soggetto diverso “custodisce” l’altrui prestazione.

Nell’ipotesi in cui non ci siano inadempimenti né differenze di valore sopravvenute tra le prestazioni nel primo caso l’escrow agent sarà tenuto a custodire il bene consegnatogli e restituirlo non al “depositante-acquirente” bensì al “terzo-venditore”, nel secondo caso invece dovrà eseguire l’incarico di consegnare il bene al venditore al verificarsi di un certo evento.

L’affidamento dei beni non implica il passaggio di proprietà di detti beni all’escrow agent i quali, similmente a quanto occorre nel più famoso trust, rimangono separati dal patrimonio dell’escrow agent. In effetti, tale separazione si realizza anche nei confronti del deibitore che assume un atteggiamento di attesa essendo naturalmente possibile che i beni oggetto dell’accordo entrino successivamente a far parte del patrimonio del creditore ovvero ritornino nella proprietà del debitore.

 

I profili fiscali del trasferimento in Italia della sede di una società estera

Il legislatore italiano ha disciplinato espressamente la fattispecie del trasferimento all’estero della residenza di soggetti che esercitano imprese commerciali disciplinata con il meccanismo dell’exit tax (art.166 TUIR). Nulla invece è stato previsto per la fattispecie concettualmente speculare del trasferimento in Italia della sede di una società straniera.

Il problema principale discendente dall’ipotesi in questione è quello relativo al valore fiscale da attribuire alle partecipazioni comprese nel patrimonio della società al momento del trasferimento della sede legale in Italia, anche in considerazione del fatto che il nostro ordinamento non prevede alcuna imposizione all’atto di ingresso della società estera.

A tale proposito si confrontano due tesi principali che fanno capo all’adozione di due distinti criteri di valutazione del valore fiscale dei beni della società trasferenda: il criterio del “costo storico” ed il criterio del “valore corrente” al momento del trasferimento nel territorio nazionale.
Il criterio del costo storico sarebbe utilizzabile nelle ipotesi, come quella del trasferimento di sede, caratterizzate dall’assenza di atti di natura traslativa dei beni da valutare e dall’esigenza di garantire la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti.

Il criterio del valore corrente, invece, sarebbe più idoneo a rappresentare situazioni di discontinuità giuridico-tributaria e di fuoriuscita di beni dal patrimonio del soggetto passivo d’imposta, nonché ad evitare fenomeni di doppia imposizione nel caso in cui nello Stato estero fosse prevista la tassazione dei plusvalori latenti fino al momento del trasferimento.

L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione in esame, la quale esaminava il caso del trasferimento in Italia della sede legale di una holding lussemburghese costituita ai sensi del decreto granducale del 17 dicembre 1938, ha confermato la sussistenza dei suddetti criteri. Infatti, relativamente al valore da attribuire ai beni ricompresi nel patrimonio della società, l’Amministrazione Finanziaria, ricordando che le soluzioni prospettabili alternativamente sono sostanzialmente quella del costo storico e quella del valore corrente, ha affermato che “il criterio del costo storico, alla base degli ordinari principi di determinazione del reddito di impresa, può essere utilizzato nelle ipotesi caratterizzate dall’assenza di atti di natura traslativa dei beni da valutare e dall’esigenza di garantire la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti”, mentre “il criterio dee valori correnti è ritenuto più idoneo a rappresentare situazioni di discontinuità giuridico-tributaria e di fuoriuscita di beni dal patrimonio del soggetto passivo d’imposta, nonché ad evitare fenomeni di doppia imposizione nel caso in cui nello Stato estero fosse prevista la tassazione dei plusvalori latenti fino al momento del trasferimento (cd. Exit taxation)”.

Pertanto, quando come nel caso esaminato dall’Amministrazione Finanziaria, il trasferimento avvenga in regime di continuità giuridico-civilistica senza atti traslativi nei confronti di altri soggetti e senza tassazione delle plusvalenze latenti nel Paese di origine, i valori fiscali dei beni devono coincidere con quelli basati sul criterio del costo d’acquisto sostenuto dall’impresa.

Con la Risoluzione in esame l’Agenzia delle Entrate ha fornito un ulteriore importante chiarimento in merito ai problemi interpretativi che si sono spesso posti con riguardo al caso del trasferimento di sede legale più volte oggetto di studio da parte della dottrina, a causa dell’assenza in ambito sia comunitario che nazionale di norme volte alla regolamentazione di tale fenomeno.

A tale proposito occorre ricordare che già con la Risoluzione n. 67/E del 30 marzo 2007, l’Agenzia delle Entrate si era pronunciata su tale argomento affermando che il principio per cui i valori da attribuire ai beni in “ingresso” devono ritenersi quelli correnti, è principio generale da preferirsi a quello alternativo basato sui valori storici, in quanto “ il più idoneo a salvaguardare il diritto al prelievo dello Stato nel quale si è avuto l’effettivo incremento di valore delle partecipazioni, ma anche il più efficace al fine di evitare sia fenomeni di doppia imposizione che salti d’imposta.”

L’agenzia, quindi, ha affermato che il criterio dei valori correnti non è l’unico applicabile e che quello del costo storico è utilizzabile qualora i plusvalori latenti non siano tassabili nel Paese di origine.
Tale impostazione appare, inoltre, in linea con le indicazioni della Commissione Europea, che, nella Comunicazione Com (2006) n. 825 del 19 dicembre 2006, ha rilevato che si potrebbero comunque verificare arbitraggi fiscali finalizzati ad assoggettare a imposizione le plusvalenze negli Stati con aliquote più basse.

In entrambe le risoluzioni l’assunzione dei beni ai valori correnti risulterebbe condizionata dal pagamento di una exit tax nel paese di origine.

Tuttavia, l’identificazione della sussistenza di exit taxes nell’ordinamento dello Stato di partenza quale condizione necessaria per l’assunzione dei beni in ingresso sulla base dei valori correnti non appare del tutto convincente.

Infatti, in primo luogo appare criticabile il sillogismo exit tax-operazione traslativa e viceversa, in quanto il carattere traslativo dell’operazione è una qualificazione dell’operazione che discende dalla sua natura e che perciò si può escludere per quelle operazioni come il trasferimento extraterritoriale di sede che si svolgono su un piano intersoggettivo; in secondo luogo, l’esistenza di una exit tax estera non può addursi quale criterio soddisfacente tutte le volte in cui alla previsione generica non si accompagni un effettivo pagamento.

A ciò aggiungasi che il soddisfacimento del principio di simmetria richiede che, almeno nel caso di soggetti che svolgono attività di impresa commerciale, vengano tassate unicamente le plusvalenze generatesi nel periodo durante il quale il soggetto ha stabilito la propria residenza in Italia, e non anche quelle generatesi prima, sulle quali sarà lo Stato di provenienza ad esercitare la propria potestà impositiva.
Come precisato, la necessità di assumere il valore corrente quale valutazione dei beni aziendali “in entrata” nel circuito fiscale italiano, non può prescindere dalla applicazione di corretti principi contabili.
Anche prima dell’entrata in vigore della legge 244/2007 ci si era chiesti se fosse possibile, in occasione del trasferimento, rivalutare i beni trasferiti, oltre che dal punto di vista fiscale, anche dal punto di vista contabile.

Il nuovo Console Generale Americano di Milano, Elizabeth Lee Martinez

Il nuovo Console Generale Americano di Milano, Elizabeth Lee Martinez, è stata l’ospite d’onore speciale del Thanksgiving American Business Lunch lo scorso 20 novembre, colta come occasione per il benvenuto ufficiale di Internazionalizza a Milano da parte del nostro socio Paolo Galbiati, membro del Comitato Consultivo di ABL.

Il Console Generale Martinez ha iniziato il suo incarico nell’ottobre 2017 come Console Generale a Milano, coprendo l’Italia settentrionale. È membro di carriera

del Senior Foreign Service con il grado di consigliere del ministro. Prima di assumere i suoi compiti attuali, la signora Martinez è stata Vice Capo della Missione a Kingston, in Giamaica dal 2013 al 2016. I suoi precedenti incarichi includono la Direzione dell’Ufficio degli Affari Canadesi (2011-2013) e la Vice Direzione dell’Ufficio di Inviato Speciale per il Sudan (2009-2011). Inoltre ha prestato servizio presso la Segreteria come Direttrice del personale del Segretariato esecutivo e come Assistente speciale del Vice Segretario di Stato. Al Console Generale Martinez vanno i migliori auguri da parte di Internazionalizza per un mandato di soddisfazione e successo.